Cucina d’impostazione rigorosamente classica per questo ristorante ormai storico, con particolare attenzione ai piatti della tradizione romanesca, per una proposta corretta ma senza colpi d’ala, che continua negli anni fedele a sé stessa a soddisfare le esigenze e le nostalgie di una clientela prevalentemente di quartiere. Abbiamo iniziato con delle polpettine di bollito con cicoria ripassata e con dei fiori di zucchina fritti ripieni con mozzarella e alici, entrambi di valida fattura. Tra i primi, buoni gli opulenti tonnarelli cacio e pepe, meno incisivi sia i semplicissimi ravioli di ricotta e spinaci al pomodorino fresco e basilico sia le fettuccine tirate a mano con burro d’alpeggio e parmigiano reggiano 36 mesi. Passando ai secondi, si continua con un percorso privo di sorprese che sembra attingere a un repertorio di svariati decenni fa, con piatti classici di discreta esecuzione ma che non spiccano il volo: maialino al forno con patate, coda alla vaccinara, trippa alla romana, orata al forno in crosta di patate. In chiusura un rinfrescante cremolato di fragole con panna e una crostatina di frolla con crema pasticcera e fragole, di fattura casalinga anche da un punto di vista estetico. Caffè sovraestratto, poco aromatico e dai toni amari di tostatura eccessiva.
Gentile, ma non sempre attento.
Su richiesta è stata portata in tavola una bottiglia di latta di un olio EVO della Sabina, blend di Frantoio, Leccino e Carboncella.
Non molto ampia e poco originale, anche se si è un minimo aperta ai vini naturali. Ricarichi corretti e discreta scelta di calici alla mescita e mezze bottiglie.
Ampio e gradevole, composto di varie sale comunicanti poste su diversi livelli, con spazi ariosi e giuste distanze tra i tavoli. Il mobilio di legno scuro di stampo classico, le porcellane, gli scaffali rossi ricolmi di bottiglie di vino, le belle foto e stampe di una Roma che fu e l’apparecchiatura curata sono tutti elementi che concorrono a creare un’atmosfera calda e di raffinata rusticità.
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